Quando mi viene chiesto cosa faccio nella vita potrei rispondere che faccio lo Psicologo clinico. E grazie tante. Potrei cavarmela, sorridendo, alle battute sui Medici della pazzia, questi strani “dottori” senza camice e senza blocchetto delle prescrizioni, che nel senso comune assumono le sembianze di cavalieri senza armatura e senza spada. Potrei limitarmi a fare smorfie divertite a domande sulla lettura del pensiero, sui sogni e sulle arcane capacità di sapere tutto su di una persona semplicemente guardandola.
Invece qualche volta mi piace cambiare i modi in cui ci si racconta, e rispondo che sono uno Psicologo Relazionale e, aggiungo, sto per diventare psicoterapeuta. “Ma che significa essere uno Psicoterapeuta Relazionale? Cioè sei come un Medico delle relazioni pazze?” e lì a sorridere di nuovo.
Questo tipo di conversazioni mi riportano ad un pomeriggio autunnale dell’anno scorso, quando, seduto affianco alla sedia a rotelle di mia nonna, una donna che avevo sempre conosciuto vispa ed energica, ora debole e rassegnata, parlavamo di come andassero le cose, passando da un argomento all’altro ad una velocità impressionante, nonostante la pacatezza delle sue parole. Mi sarebbe piaciuto dirle “Una cosa alla volta, abbiamo tempo, non c’è alcun bisogno di correre, in fondo.”
Ad un certo punto, con la sua modalità schietta e del tutto priva di peli sulla lingua, come ci si immagina un’anziana signora, o un’ingenua bambina, utilizzando un dialetto colorito che non saprei come rendere appieno, mi chiese “ma io non ho ancora capito cosa fai. Sei uno di quei dottori che da le medicine oppure che opera?”
Mi prese alla sprovvista. Quando si chiede a qualcuno del proprio lavoro, spesso ci si accontenta della risposta senza troppe storie, per poco interesse o per dare l’idea di conoscere qualsiasi cosa. Si può più o meno approfondire questo o quell’aspetto della professione, si può confessare di sapere molto o poco sull’argomento, ma è difficile che si metta in discussione il significato stesso dell’etichetta che indossi dopo la laurea o dopo l’Esame di Stato.
Come spiegare cos’è uno psicologo clinico relazionale ad una persona che era già in pensione quando nacque la categoria?
Ogni lungo ragionamento sarebbe stato vano, così risposi di getto, senza pensarci su troppo, seguendo il flusso dei pensieri. “il lavoro di uno psicologo clinico o di uno psicoterapeuta è più vicino a quello di un Fisioterapista. Il primo è esperto nella valutazione, il secondo nell’intervento”.
“Un fisioterapista?” mi chiese, spiazzata.
“Si, un fisioterapista. Ci sono tante persone che sentono di non riuscire più a muovere una parte della loro vita o della loro identità in seguito ad un incidente di percorso oppure per una serie di microfratture. Sono persone che soffrono e che hanno spesso paura di non poter più usare questa o quella parte di sé.”
“E quindi è come fare degli esercizi insieme?”
“Beh quasi, ma non proprio” le rispondo, sorridendo alla sua rinnovata attenzione “significa più usare la relazione come fosse il tappetino del fisioterapista e le capacità e le relazioni della persona come fossero il suo corpo, e se quella persona riesce a vedere che il suo arto è ancora lì e che può muoverlo, trova il suo modo per tornare ad utilizzarlo.”
“Bella metafora!” si intromise mia madre, colpita “ma alla fine prendi anche tuo padre. Quando si è rotto il braccio si è rifiutato di andare dal fisioterapista ed ora lo muove lo stesso. Perché non un medico che usa le parole come una medicina o come un bisturi?”
“Perché nel suo campo è principalmente il medico ad intervenire con le sue competenze. Il paziente si limita a seguire la prescrizione o ad attendere su di un letto che lo ricuciano. Nella fisioterapia è la persona ad allenarsi e a fare la fatica maggiore. Lo psicologo è un’opportunità, ma non è né necessario a priori, né soprattutto sufficiente per stare meglio”
Rimanemmo in silenzio, ed io ringraziai mia nonna con lo sguardo, per aver dato il via ad una nuova curiosità che ci aveva permesso di fermarci su qualcosa di profondo invece di saltellare di qua e di là, sulla superficie delle cose. Non so se mia nonna o mia madre mantengono il ricordo di questa conversazione, io la conservo come un bene prezioso nella mia memoria, perché mi ha insegnato che in qualsiasi relazione ciascuno apprende qualcosa, non importa quale ruolo rivesta.
Questo è anche il ricordo che mi porto dietro cominciando questo percorso con il Comincenter.
“Ma che c’entra uno psicologo clinico, o uno specializzando in psicoterapia relazionale, con le esperienze e le difficoltà sul lavoro? Per quello esistono gli psicologi del lavoro!”
Una cosa alla volta, abbiamo tempo, non c’è alcun bisogno di correre, in fondo.