Donne e agricoltura: vi presento lo zafferano di Matera

Eccomi qui, al mio secondo appuntamento con #HelloGirls e oggi ho incontrato e intervistato per voi un’amica, una donna materana nonché un’imprenditrice innovativa nel settore agro-alimentare.

Lei è Brunella Gaudiano, nata, cresciuta, fuggita e poi tornata consapevolmente a Matera, dove adesso gestisce la sua impresa agricola. Ci racconterà della sua storia che ha fatto il giro del mondo prima di riaffondare le radici, nel vero senso della parola, in terra lucana.

Qual è stata la tua formazione e cosa ti ha portato fuori da Matera?

Durante gli anni lontana da Matera mi sono laureata in studi aziendali, mi sono specializzata, ho partecipato a progetti europei, ho percorso strade personali e intrapreso percorsi lavorativi tra l’Italia e l’estero.

Quello che ho fatto è stato lanciarmi in mezzo al mondo e confrontarmi con quanta più gente possibile, permettendomi di continuare a crescere, aggiungere ideali e conoscenza al mio bagaglio culturale, oltre che affettivo, imparare, centrare obbiettivi, sbagliare, capire e anche non riuscire a capire molte cose.

 

Cosa ti ha spinto a tornare e qual è stato il momento rivelatore che ti ha fatto riprendere la strada di casa e decidere di voler investire nel tuo futuro a Matera?

Durante la mia fuga, una cosa, tra tutte, che di me avevo capito molto bene era che nulla mi demotivava di più di un lavoro d’ufficio con un obiettivo aziendale che non era il mio. Ovvero avevo capito che, essendo una persona che vive di ideali, non sarei mai stata in grado di lavorare bene e con motivazione se non per un obiettivo mio, MIO, personalissimo e credendo fino al midollo nell’utilità di quello che avrei potuto fare.
Decisivo per la mia scelta di tornare a Matera a gestire la mia terra, è stato un lungo viaggio ‘rivelatore’ fatto all’altro capo del mondo,  che mi ha fortemente riconnesso con la natura, con la terra e con le radici, le mie radici che significano vita, spazio, tempo.
Anche se suona bizzarro è stato proprio così: un viaggio, di per sé un concetto di spostamento e instabilità, mi ha rivelato che quello che volevo era tornare dove ero nata e mettere radici.

Ed è proprio il concetto di radici a guidarmi nel mio lavoro: quello che faccio è seminare e impiantare per far attecchire radici e poi aspettare, per vedere nascere e crescere le mie graziose piante, con i loro frutti,  per poi raccoglierli e metterli a disposizione della comunità. E l’anno dopo ricominciare da capo, con colture nuove, diverse ma sempre seguendo un ciclo, che si ripete,  come tutti i cicli della vita: si semina, si attende, si raccoglie.
Il lavoro che ho scelto per me è anche una cura, che mi insegna ad avere pazienza perché mi ricorda che il concetto del tempo non è una linea retta su cui correre ma un cerchio, su cui tutto torna.

 

In che cosa hai investito, cosa hai cambiato della tua azienda perché prendesse la strada dell’innovazione?

Sono stata molto fortunata perché non sono partita da zero, ma sono subentrata ad un’azienda agricola già esistente, che ho semplicemente rimesso in moto, dandole una spinta per ripartire in maniera più vivace ed economicamente profittevole.

La prima cosa che ho fatto è stato studiare un po’ di storia agricola e agronomica della zona, per conoscere il passato rurale della mia terra e in generale della storia rurale dell’area mediterranea, individuando le colture più diffuse, quelle maggiormente profittevoli, sia ancora esistenti che andate perse col tempo. Poi ho studiato le nuove tecniche agronomiche, quelle più innovative, quelle con minor impatto agro-ambientale e quelle introdotte con l’agricoltura di precisione.

L’obiettivo è sia economico che culturale. Quello economico è di diversificare la produzione dell’azienda e della sua offerta, per renderla più redditizia e competitiva, rispetto alla monocoltura. Quello culturale è di dare un’identità territoriale alla mia impresa, attraverso il recupero di una sorta di ‘memoria botanica e agricola’ di questo territorio.

 

Quali sono, quindi, i prodotti di punta della tua azienda?

Coltivo varietà antiche e pregiate di grano duro, destinate alla produzione di farine, paste e pane locali attraverso le filiere corte controllate da alcuni molini e pastifici pugliesi; semi di lino, destinati all’industria cosmetica; diverse varietà di legumi, olio extra vergine d’oliva e spezie da destinare alla cultura gastronomica locale.

Tra tutte, la mia coltura certamente più curiosa e anche quella storicamente più interessante, dal punto di vista agronomico e culturale, è quella dello zafferano, spezia preziosissima sul mercato, per il duro lavoro necessario a produrla, e pregiatissima in cucina, per il gusto interessante e sofisticato che dona ai piatti.

 

Perché hai pensato proprio allo zafferano per differenziarti?

Documentandomi ho scoperto che lo zafferano è una pianta comune a tutta l’area del ‘Mediterraneo agricolo’  e che aveva dunque ottime possibilità di attecchire con successo anche in questa zona.
Inoltre, studiando la storia rurale e la tradizione culinaria dell’entroterra lucano, ho scoperto tracce di questa spezia, poi andata in disuso, probabilmente introdotta dagli arabi nei secoli ix e x.

Ho cominciato prima a sperimentare con le mie prime 200 piantine, e successivamente a confermare ogni anno il mio impegno con la produzione sempre maggiore di questo prodotto, nonostante il lungo e faticoso lavoro manuale richiesto. Oggi la mia produzione di zafferano è comunque esigua rispetto al resto dei miei prodotti, per i quali posso contare su delle filiere commerciali più solide e collaudate, ma mi garantisce comunque un’integrazione al reddito agricolo.

 

In questo momento qual è lo stato del business dello zafferano in Basilicata?

Attualmente lo stato del business dello zafferano locale è incagliato su alcuni aspetti commerciali, per cui risulta difficile ad un prodotto agricolo che non ha ancora un’identità territoriale forte, riuscire a trovare i canali commerciali giusti per arrivare ad un vasto numero di acquirenti-consumatori . Quello che è necessario è l’impegno e la collaborazione di tutte le aziende produttrici locali, del settore ristorativo e delle istituzioni e sistemi di promozione regionale per trasformare lo zafferano lucano in una eccellenza gastronomica e rendere quindi anche la sua coltivazione economicamente appetibile alle imprese agricole.
Questa coltura ha tutte le carte in regola per essere apprezzata anche da una fascia di consumatori particolarmente attenti all’ambiente e alla salute, essendo ecologicamente sostenibile, con uno scarsissimo impatto ambientale.

 

A grandi linee come si svolge la coltivazione del bulbo dello zafferano e la successiva raccolta della spezia?

La tecnica produttiva dello zafferano è assolutamente identica a quella utilizzata 1000 anni fa, è completamente manuale, dalla fase di impianto fino al raccolto e alla manipolazione per il confezionamento. E’ del tutto naturale, per l’assenza di qualsiasi tipo di intervento chimico o diserbante sulle sue piantine.
Il crocus sativus si impianta a 10-15 cm di profondità tra fine agosto e settembre e in poco più di un mese è in grado di attecchire con le sue radici nel sottosuolo e tirar fuori, dal terreno, con una forza emozionante, le sue spate bianche, che non sono altro che l’involucro che custodisce il fiore dello zafferano. Intorno alla metà-fine di ottobre avviene la fioritura, per cui giorno dopo giorno ‘lo zafferaneto’ si tinge di violetto e rosso, che insieme al verde e marrone del resto del campo, contribuiscono ad offrire un gradevolissimo spettacolo cromatico.
La fioritura è anche il momento di lavoro più intenso, poiché i fiori devono essere raccolti ogni giorno e nello stesso giorno mondati, ovvero manipolati per il recupero dei tre stimmi centrali, i quali, sempre nello stesso giorno, devono essere essiccati per diventare spezia.
Lo zafferano è pronto, mentre i bulbi del fiore continuano il ciclo vegetativo per riprodursi, generando nuovi bulbi.
Il lavoro è molto intenso ma concentrato in un breve periodo dell’anno che si concretizza in circa 30-45 giorni, per cui nonostante gli sforzi è assolutamente tollerabile.

 

Quali sono state  e quali sono tuttora le tue difficoltà legate al territorio, sia in quanto azienda innovativa, sia in quanto donna in un settore a cui si dedicano soprattutto gli uomini qui in Basilicata?

Quando mi chiedono che lavoro faccia, leggo sempre un po’ di stupore e un punto interrogativo negli occhi di chi me lo chiede, come se, in mezzo al proliferare di lavori terziari, si perdesse la connessione con il concreto e fosse strano o addirittura bizzarro che qualcuno trovi sostentamento economico dal settore primario e soprattutto che a farlo sia una donna.
A ben vedere e volendo fare un volo pindarico, l’agricoltura è nata ben oltre 10.000 fa e alle origini di questa pratica la donna ha avuto un ruolo importantissimo nel processo lunghissimo che ha poi portato alla nascita dell’agricoltura come attività umana ed economica.
Culturalmente, l’ambiente agricolo di oggi, soprattutto locale, è prettamente maschile ma, a parte un po’ di diffidenza, i miei stessi veterani colleghi non si stupiscono più di trovare una donna a gestire delle piantine, a decidere il piano colturale annuale e a smerciare i prodotti agricoli.
La dedizione della donna all’agricoltura è del tutto normale, così come del tutto naturale è l’inclinazione della donna, per la sua minore forza fisica, resistenza o fisiologia, ad eseguire lavori o compiti diversi da quelli che può eseguire un uomo; semmai quello che non è normale è lo stupore che esista una dedizione all’agricoltura.

 

Le criticità del tuo lavoro?

Il vero punto critico del mio lavoro, svolto nel mio territorio, non è culturale, né sociale ma piuttosto ambientale, climatico e soprattutto politico. Si tratta infatti di un’attività economica in cui l’elemento aleatorio del clima e la variabilità dei fattori ambientali, la rendono complessa, imprevedibile e ostile.
Inoltre moltissime carenze strutturali a livello di istituzioni e politiche di sostegno, hanno sempre relegato il settore primario ad una sorta di far west, in cui tutto era possibile, soprattutto nel gioco forza tra i produttori e gli intermediari  commerciali.
Devo ammettere che negli ultimissimi anni i progressi nel riassetto istituzionale, ma anche normativo, del tessuto agricolo sono rapidissimi e in qualche modo efficaci.

 

Se potessi dare delle dritte o consigli a chi ancora non ha investito in questo campo ma vorrebbe farlo, cosa gli diresti?

A chi vorrebbe intraprendere questo cammino, non posso che accoglierlo con entusiasmo e un sorriso, ricordandogli di non improvvisare e di pianificare per bene gli impegni economici e anche quelli morali necessari per l’avviamento e il sostentamento di una impresa agricola, includendo tra questi anche lo studio di nozioni e principi agronomici fondamentali, se già non si hanno.

E gli ricorderei anche di avere tanta pazienza, e, se non ce l’avesse, di osservare le piante per imparare ad averla. E a credere che alla fine tutto torna.

 

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